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Centro Culturale Candiani

Il male nella storia della filosofia

Maria Giacometti

marzo 2015 / maggio 2016

a cura di
SFI Società Filosofica Italiana (sezione di Venezia)
 

Diverse sono le spiegazioni del male nella storia del pensiero. Il mito, raccontando come il mondo ha avuto inizio, rende conto del lato tenebroso e luminoso della condizione umana e prepara la via alle varie Teodicee che pongono la questione: da dove viene il male? La tradizione ebraico-cristiana intende il male come peccato, sofferenza, morte. Il male viene inscritto all’interno della “teoria della retribuzione”: ogni sofferenza è meritata perché è la spiegazione di un peccato individuale e collettivo. Ad essa si contrappone la visione tragica della Grecia antica; si tratta di una visione extramorale, perché il male è inscritto nell’ordine della natura come un fatto, un evento che oscilla tra caso e necessità. Il male non richiede “giustificazione”, perché in quanto “fatto” naturale esso è innocente. La concezione gnostica del male vede le forze del bene e del male in perenne conflitto, in una sorta di grandiosa gigantomachia. Ad essa si contrappone il pensiero neoplatonico che considera il male come l’estrema degradazione dell’Uno. A questa dottrina si ispira Agostino di Ippona per definire il male “non-sostanza”. Il male si riduce a solo malemorale, peccato, risultato di una volontà malvagia. Il peccato richiede che l’uomo si faccia responsabile e accetti la pena dell’espiazione. La filosofia agostiniana è la base sulla quale si innalzano le grandi Teodicee dell’epoca moderna. Esse implicano tre condizioni: che Dio è onnipotente; che è bontà infinita; che il male esiste. Per G. Leibniz il male nellasua interezza è l’imperfezione (male metafisico) del creato in quanto creato. Tuttavia, la “ragion sufficiente” che ha ispirato Dio nella scelta di quale tra i “mondi possibili” portare all’esistenza, non può non averlo indotto a scegliere “il migliore dei mondi”. L’intelletto umano finito, per parte sua, non può che cercare di fare un bilancio ottimistico. Vi è un corollario estetico nella Teodicea leibniziana: il contrasto tra positivo e negativo concorre all’armonia del tutto. È la lamentazione del Giusto sofferente a confutare questa posizione. La teodicea, definita una “illusione trascendentale, viene demolita da I. Kant, che abbassa il tema del male dalla sfera metafisica all’ambito di quella pratica, nella quale l’azione ha il dovere di combatterlo. Non ci si può domandare da dove viene il male, ma da dove viene che noi lo facciamo. F. Hegel riprende, invece, la teoria di Leibniz, facendo coincidere il tragico dell’esistenza con la logica della ragione: è necessario che qualcosa muoia perché qualcosa di più grande nasca; la dialettica del negativo assicura il dinamismo del reale. All’interno di una storia, manipolata dall’Astuzia della ragione, la sorte degli individui è sacrificata allo “Spirito del mondo”: la storia lungi dall’essere il terreno della felicità è al contrario un immenso mattatoio.

marzo 2015 / maggio 2016  ore 18,00

                                   Di seguito le registrazioni audio in formato mp3      

 

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