Centro
Culturale Candiani
SPERANZA
novembre 2016 / marzo 2017
a cura di
Associazione Culturale "Nemus"
SFI Società Filosofica
Italiana (sezione di
Venezia)
Università Popolare di
Mestre
Nel pensiero greco Elpìs designa la relazione
che un uomo stabilisce con il futuro e corrisponde
al concetto di attesa, senza alcuna connotazione
positiva o negativa, la quale dipende piuttosto dal
contesto in cui l’aspettativa viene formulata.
Questo rapporto dell’uomo con il futuro è stato
inteso in diversi modi. Innanzitutto come ipotesi
illusoria derivante da attese ottimistiche prive di
ogni giustificazione. Tante speranze svanite, tante
illusioni, lusinghe e inganni sfociano in una presa
di distanza critica a partire dall’inizio della
cultura greca fino alla tarda latinità: “Metti da
parte ogni vuota speranza” (Marco Aurelio, Colloqui
con se stesso, 3,14). Il rapporto con il futuro è
però anche previsione razionale o verosimiglianza
razionalmente fondata. Sperare è, allora, sinonimo
di tener per vero e permette di distinguere tra una
supposizione adeguata e un’attesa impossibile: “Sono
sempre irragionevoli le speranze degli uomini non
intelligenti” (Democrito, I presocratici.
Testimonianze e frammenti). Vi è poi nel contesto
religioso la speranza come consolazione, l’ultima
dea rimasta tra gli uomini dopo che tutti gli dei
hanno abbandonato la terra. Ma se è vero che la
speranza è “l’ultima a morire” chi garantisce che
non si tratti di una “vana speranza”? Nell’ambito
della filosofia ebraico-cristiana la speranza
diventa anticipazione di una promessa di ciò “che
dovrà avvenire”. Ma, a differenza della tradizione
ebraica che fa coincidere la promessa con beni
concreti, la Terra promessa della Bibbia, Gesù
Cristo propone una nuova escatologia: l’avvento di
una nuova terra e un nuovo cielo, quando il tempo
sarà compiuto. La speranza è fiducia in un destino
felice oltre il tempo; ma solo mediante una pratica
di vita, potenziata dalla grazia divina, essa
diventa percorso di salvezza. In questo senso la
speranza è Virtù teologale. Con il passaggio all’età
moderna il tema della speranza assume un significato
puramente psicologico e viene trattato all’interno
delle dottrine sulle passioni. Secondo una linea di
pensiero che risale a Livio, Tacito e Seneca, la
speranza si accompagna sempre alla paura: non c’è
l’una senza l’altra. Con l’Idealismo il tema della
speranza si lega al tema della promozione sociale
come filosofia che deve diventare pratica
rivoluzionaria, a sostegno di un progetto di
cambiamento da realizzarsi nella storia. Non sarà
più così per l’Esistenzialismo, secondo il quale la
speranza ritorna ad essere intesa come generatrice
di “inquietudine”, a causa del suo carattere
impostore e appiccicoso, che come un amico
attaccabrighe non vuol mai perdere il diritto di
dire l’ultima parola. Un’altra dimensione della
speranza è stata esplorata in connessione con il
concetto di “utopia”, come “il possibile
obiettivamente reale”. La speranza come dimensione
della possibilità si oppone come apertura a ciò che
è chiuso e statico. Infine, le parole di Etty
Hillesum testimoniano che cosa possa significare
“speranza” nell’epoca dello sterminio di massa: “Una
pace futura potrà esser veramente tale solo se prima
sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni
uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo,
di qualunque razza o popolo, se avrà superato
quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di
diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere
troppo. È l'unica soluzione possibile.” (Diario, pp.
126-127)
novembre 2016 /
marzo 2017 ore 18,00