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AUTOCATETERISMO AD INTERMITTENZA Vs CATETERE VESCICALE A PERMANENZA
M. Marchetti, L. Moroni, *F. Belardi, **D. Orsetti Istituto Patologia Apparato Urinario, Direttore Prof. G. Muzzonigro; Università degli Studi di Ancona *Divisione Urologica, Primario Prof. G. Muzzonigro; Azienda Ospedaliera Umberto I° di Ancona **IP responsabile “Cure domiciliari infermieristiche, Distretto Nord, A.S.L. n. 7 Ancona
ABSTRACT In questo lavoro sono state prese in considerazione le due manovre di cateterismo vescicale, sia la tecnica ad intermittenza, che quella a permanenza, mettendole a confronto.Sono stati elencati i materiali di fabbricazione e la loro biocompatibilità, le indicazioni al cateterismo, la gestione domiciliare in entrambi i tipi di trattamento e le complicanze che più frequentemente possono essere riscontrate secondariamente al cateterismo evidenziando il problema delle infezioni urinarie. Sono state elencate una serie di manovre, da fare da parte dell’infermiere, atte a migliorare la qualità di vita del paziente e a fornire un’assistenza infermieristica apprezzabile rispettando le norme che regolamentano la nostra professione. Per quanto riguarda il cateterismo intermittente, è stata fatta un po’ la storia e sono stati paragonati cateteri convenzionali con cateteri autolubrificanti idrofili a bassa frizione.
Per riportare un po’ quanto descritto, alla realtà della nostra zona, è stato preso in considerazione il Distretto Nord della A.S.L. n. 7 di Ancona con la sua situazione domiciliare. Non abbiamo avuto sorprese, in quanto il cateterismo intermittente viene utilizzato soltanto in casi di vescica neurologica, ma abbiamo avuto la conferma che potremo lavorare per far si che, a relativamente breve termine, si possa pensare al cateterismo a permanenza “soltanto nei casi non altrimenti risolvibili”.
INTRODUZIONE Il cateterismo vescicale è l’introduzione con posizionamento provvisorio o permanente di un catetere sterile in vescica per via transuretrale o sovrapubica a scopo:
Perché il cateterismo sia efficace, è importante la scelta del tipo, del materiale, del calibro e della forma del catetere.
In particolare, in questa sede, cercheremo di mettere a confronto due tecniche di cateterismo, entrambe a scopo evacuativo, ma differenti tra loro:
MATERIALI E’ indispensabile fare un cenno sui materiali costituenti i cateteri e la loro Biocompatibilità. Con questo termine si intende la compatibilità tra il materiale con cui è costituito il catetere e il tessuto o liquido organico con cui viene a contatto. Il materiale posto in continuità con i tessuti non deve evocare alcuna reazione da corpo estraneo. Il materiale che costituisce il catetere deve essere inerte: non deve determinare reazioni organiche (fenomeni allergici o flogistici) quando viene lasciato a contatto con i tessuti o liquidi organici per un tempo variabile. Non esiste alcun materiale tollerato in modo assoluto, ma la compatibilità è sempre subordinata a:
INDICAZIONI Le principali indicazioni al cateterismo vescicale a permanenza sono:
E’ importante sottolineare che il posizionamento di un catetere a permanenza deve essere una scelta ben ponderata. Deve essere considerata l’età e lo stato di salute del paziente. Bisogna preventivare che l’utilizzo di una cateterizzazione a lungo termine porterà, quasi sicuramente, l’utente ad affrontare infezioni che possono arrivare a provocare danni all’apparato urinario. Vanno considerate tutte le possibilità alternative: cateterismo intermittente, cateteri esterni, sistemi ad assorbenza, ecc…
Il cateterismo intermittente rappresenta il trattamento d’elezione nella riabilitazione del traumatizzato vertebro-midollare in quanto consente un adeguato drenaggio delle urine nel rispetto dell’integrità anatomo-funzionale del complesso vescico-uretrale. Per questi motivi è indicato anche:
Nel 1844 STROMEYER descrisse per primo il cateterismo intermittente; proposto anche da WALKER (1917) per i reduci della 1° Guerra Mondiale e RICHES (1943) per i reduci della 2° Guerra Mondiale. Nel 1966 GUTTMANN e FRANKEL proposero il C.I. (Cateterismo Intermittente) con tecnica sterile e nel 1971 LAPIDES praticò per primo il C.I. con tecnica pulita, che fu una rivoluzionaria scoperta. LAPIDES e DIOKNO continuarono le esperienze confermando il concetto che il cateterismo intermittente pulito non sterile, era un valido aiuto nel trattamento e nella prevenzione delle infezioni delle vie urinarie. McGUIRE (1983) fece la prima revisione del C.I.C., confermando la tollerabilità della metodica. Già attorno al 1000 d.C., antichi Autori come AVICENNA e REHZUS descrissero il cateterismo come una tecnica che richiede abilità manuale da parte dell’operatore, utilizzo di cateteri flessibili e ben lubrificati, per ridurre il rischio di complicanze uretrali. L’autocateterismo intermittente è lo svuotamento vescicale plurigiornaliero eseguito in maniera autonoma dal paziente per raggiungere la continenza vescicale senza residui di urina. Tale tecnica, è già emerso che, può essere effettuata in maniera sterile in ambiente ospedaliero per evitare rischi di infezione o negli ambienti igienicamente poco sicuri (ambiente scolastico, lavoro, in viaggio ecc…) e pulito secondo le regole della comune igiene personale, in ambienti controllati (es. propria casa).
Il cateterismo intermittente può essere evacuativo (sostituzione dell’atto minzionale) o post-minzionale (a completamento dello stesso).
GESTIONE DOMICILIARE DEL CATETERE A PERMANENZA Molti problemi legati al cateterismo a permanenza sono dovuti alla errata scelta della misura del catetere e/o del palloncino. Va scelto il più piccolo catetere che garantisce un drenaggio adeguato delle urine. Una regola che va rispettata durante il posizionamento del catetere è l’asepsi. E’ indispensabile lubrificare adeguatamente il canale uretrale prima dell’introduzione del catetere, allo scopo di ridurre al minimo il rischio di traumatismi uretrali. La tecnica del cateterismo deve essere eseguita da personale esperto. Nell’uomo, la permanenza del catetere può causare un decubito all’angolo peno-scrotale (con successivo rischio di formazione di stenosi uretrale). E’ bene pertanto ribaltare e fissare il catetere sull’addome con un cerotto. Anche nella donna è bene fissare il catetere all’interno della coscia per evitare strappi involontari e proteggere il collo vescicale. Norme generali per la gestione domiciliare del catetere a permanenza sono:
GESTIONE DEL CATETERISMO INTERMITTENTE A DOMICILIO Al momento della dimissione ci si accerta che il paziente e/o i suoi familiari abbiano compreso la tecnica da utilizzare e soprattutto abbiano chiara l’importantza del C.I. Va impostato il numero dei cateterismi/die in maniera adeguata rispetto alla diuresi giornaliera del paziente, generalmente si cerca di non superare i 4 cateterismi al giorno. Il limite massimo consentito perché la vescica non subisca sovradistensioni è di 400 - 500 ml. Da considerare è anche l’impatto psicologico del paziente a questa manovra, legato alla paura di provocarsi danni; è importante che l’operatore infonda fiducia e cerchi di sdrammatizzare. Il paziente va anche informato su:
Inoltre:
COMPLICANZE DEL CATETERISMO VESCICALE A PERMANENZA Il cateterismo vescicale a permanenza rappresenta la maggior causa di infezione delle vie urinarie. Per infezione si intende la situazione in cui il paziente sviluppa una batteriuria sintomatica o non, la cui carica batterica superi le 100.000 col/ml in campioni di mitto intermedio o provenienti dalla cateterizzazione. I principali fattori di rischio sono:
L’incidenza delle infezioni urinarie cresce linearmente con i giorni di cateterizzazione: 4,7 % nelle prime 24 ore, 8,1 % per ogni ulteriore giorno, dopo 10 giorni oltre il 50 % dei pazienti è infetto e dopo 30 giorni la quasi totalità dei pazienti sviluppa infezione (in ambiente ospedaliero). Una elevata percentuale di pazienti portatori di catetere a dimora, va incontro a infezioni croniche, pielonefriti, epididimiti, litiasi, formazione di ascessi, reflusso vescico-ureterale, fino all’insufficienza renale.
Tre sono le principali vie di invasione:
Le infezioni urinarie in ambiente ospedaliero sono particolarmente temibili per la presenza di ceppi batterici antibiotico-resistenti. Il C.D.C. di Atlanta, per la prevenzione delle infezioni urinarie, raccomanda le seguenti indicazioni:
Le complicanze possono presentarsi sia a carico dell’uretra (infiammazioni, traumatsmi, stenosi, diverticoli, fistole ….) che a carico della vescica (infiammazioni, infezioni, calcolosi). L’infiammazione cronica della mucosa vescicale associata all’effetto irritativo del catetere a permanenza, è causa di stimolo cancerogenico. La formazione di calcoli vescicali rappresenta il problema più comune del paziente cateterizzato; tale formazione è legata alla presenza di infezioni croniche causate da batteri produttori di ureasi (Proteus, Pseudomonas, Stafilococchi, Klebsielle). Questo enzima scinde l’urea in ammoniaca e anidride carbonica, l’ammoniaca si idrolizza poi ad ammonio aumentando il pH urinario attorno a 8 - 9. L’anidride carbonica si idrata ad acido carbonico e si dissocia poi in carbonato che precipita insieme al calcio (calcio carbonato). l'ammonio fa precipitare il fosfato e il magnesio (struvite). La presenza di un catetere in vescica, è sufficiente per fare da nucleo per la formazione e la crescita del calcolo di struvite. E’ perciò importante controllare che il pH urinario sia stabilmente tra 5 e 7 e, quindi, cercare di mantenerlo tale (acidificanti).
La prevenzione delle I.V.U. (infezioni vie urinarie) si realizza in più momenti:
La batteriuria è lo stato in cui il paziente presenta i segni dell’infezione, ma non ne ha i sintomi che però, potrà sviluppare. Solo la diagnosi di I.V.U. giustifica la terapia antibiotica che deve comunque essere mirata. La diagnosi viene fatta in base ai segni e sintomi (disuria, febbre, brividi, urine torbide e maleodoranti ecc…). E’ invece da evitare (sec. Letteratura scientifica internazionale) la somministrazione di terapia atibiotica in pazienti con cateterismo cronico proprio per evitare la formazione di ceppi batterici resistenti.
E’ anche importante sottolineare che l’uso del cateterismo vescicale a permanenza abbia indicazioni estremamente limitate e per il tempo strettamente necessario, cercando di risolvere i problemi di ritenzione urinaria utilizzando altre metodiche che, sicuramente garantiranno al paziente una migliore qualità di vita. La rimozione del catetere a dimora prevede poi la realizzazione di un “sistema personalizzato di controllo” volto ad individuare l’eventuale recupero del quadro. L’infermiere ha il compito di aiutare il paziente: la relazione d’aiuto deve, però, essere intesa come l’insieme di azioni atte a mantenere, recuperare ed incrementare le capacità individuali del soggetto interessato. L’assistenza infermieristica diventa quindi un processo educativo. In seguito alla rimozione del catetere a dimora, l’infermiere deve pianificare i propri interventi per:
COMPLICANZE DEL CATETERISMO INTERMITTENTE Il regolare svuotamento vescicale rappresenta sicuramente un notevole vantaggio in quanto migliora la continenza e quindi la qualità di vita del paziente, oltre al fatto che il regolare svuotamento riduce la pressione intravescicale, migliora pertanto la circolazione sanguigna rendendo la mucosa più resistente agli organismi infettivi; anche se l’introduzione e l’estrazione del catetere varie volte al giorno è causa di attrito, infiammazione e danni alla mucosa uretrale.
Le complicanze più frequenti del cateterismo intermittente sono:
Va comunque sottolineato che a domicilio, le infezioni anche con tecnica di cateterismo intermittente pulito (C.I.C.), sono estremamente rare e comunque non particolarmente gravi. In ambiente ospedaliero va mantenuta la tecnica sterile (S.I.C.).
La tecnica descritta da LAPIDES e convalidata da HINNMAN, prevedeva che il catetere utilizzato fosse in PVC e il lubrificante vasellina senza disinfettante. Dopo il lavaggio delle mani e la pulizia dell’area perimeatale con acqua e detergente, si eseguiva lo svuotamento vescicale per compressione manuale. Lo stesso catetere, dopo essere stato utilizzato veniva lavato con acqua e detergente, asciugato e riposto in un contenitore es. involucro di plastica. Il cateterismo veniva effettuato 6 - 7 volte al giorno e lo stesso catetere era utilizzato per una settimana. Molti autorevoli Autori hanno pubblicato le loro esperienze sulla tecnica del cateterismo intermittente, con importanti periodi di follow-up. Nel 1983 venne presentato il primo catetere autolubrificante idrofilo e molti sono i lavori pubblicati sul paragone fatto tra il cateterismo convenzionale e il cateterismo effettuato con il catetere idrofilo. Per la bassa frizione (20 volte minore di un catetere trattato con xylocaina e 5 volte minore di un catetere trattato con vasellina), e la fisiologica osmolarità di tale catetere, molti autori sono concordi nel dichiarare che queste due qualità senz’altro riducono il rischio di traumatismi uretrali e infezioni croniche, oltre che prostatiti ed epididimiti. Il catetere idrofilo è nato per il singolo utilizzo (va buttato dopo ogni cateterizzazione) ed è previsto che rimanga in sede per un tempo limitato a circa 1 minuto. WINDAELE (1991) riferiva il 13 % di complicanze da C.I.C. eseguito con catetere tradizionale + gel; WALLER (1993) riferiva il 2 % di complicanze da C.I.C. eseguito con cateteri autolubrificanti a bassa frizione. Zanollo et al. riferisce una percentuale di complicanze pari all’1 %. Sicuramente la scarsa percentuale di complicanze, è sufficiente a giustificare il più alto costo iniziale del prodotto.
E’ importante evidenziare anche come il cateterismo intermittente e l’autocateterismo abbiano positivi risvolti sulla qualità di vita del paziente e dell’ambiente familiare in termini di dormire, viaggiare, fare commissioni, igiene personale, amicizie, vita in famiglia, relazioni di coppia e vita sessuale, attività fisica, lavoro, ecc…
In uno studio del 1992 LUOTO et al., a proposito di pazienti affetti da Sclerosi Multipla, evidenziavano come concetto di base nella cura infermieristica il concetto di “self-care” (autocura). Si basa sull’importanza che l’uomo è un soggetto sensibile, cosciente, responsabile e attivo piuttosto che passivo del trattamento. L’uomo è la risorsa base della sua stessa vita, del suo benessere e della sua salute. La cura infermieristica che funge da supporto all’autocura lavora con il paziente e non per il paziente. Ai pazienti vanno fornite tutte le informazioni necessarie, insegnando loro e motivandoli, incoraggiandoli, rafforzando la loro autostima per miglirare la propria capacità di affrontare il percorso che li attende.
Quanto già esposto può essere applicato anche ad altri pazienti affetti da problemi urinari.
ESPERIENZA PERSONALE Dopo questa lunga esposizione di confronto tra i due tipi di cateterismo, ci è sembrato logico cercare di capire che cosa succede nella pratica, nel nostro territorio. Abbiamo preso in considerazione il Distretto Nord della A.S.L. n. 7 di Ancona. La popolazione compresa in questa area è di 66.000 unità. In trattamento domiciliare integrato (medico, infermiere, fisioterapista e ausiliari), ci sono 356 pazienti, in assistenza domiciliare infermieristica (solo infermiere), 274. Tra tutti questi pazienti 60 sono portatori di catetere vescicale a permanenza e 3 pazienti sono in trattamento con C.I.C. per vescica neurologica (2 post-traumatica e 1 congenita).
Sono utilizzati cateteri al silicone puro con scanalature longitudinali per 59 pazienti e catetere al lattice a parete liscia con sostituzione media ogni 8 giorni per il restante paziente. Il periodo medio di sostituzione del catetere in silicone è di 28,5 giorni, con buona tolleranza da parte dei pazienti. Per l’80 % dei casi non sono presenti secrezioni, residui ematici ed incrostazioni attorno alla punta del catetere, al momento della sostituzione. I pazienti vengono sottoposti mensilmente a controllo ematochimico e colturale delle urine. Mediamente sviluppano 1 infezione urinaria ogni 30 giorni, viene somministrata terapia antibiotica mirata e ripetuto esame colturale delle urine a distanza di una settimana dal termine della terapia. Con enorme fatica, si sta riuscendo a debellare la terapia antibiotica a largo spettro, somministrata a scopo preventivo, che in passato aveva largo uso, ma che la Letteratura Internazionale ritiene causa di formazione di ceppi batterici antibiotico-resistenti.
Dal giugno 2000 è stato proposto ai pazienti portatori di C.V.P. (catetere vescicale a permanenza), l’utilizzo della sacca a circuito chiuso. Un ristretto gruppo di 12 persone ha accettato, con i loro familiari, la prova di tale metodica. E’ comunque emersa una certa resistenza dovuta al dover vuotare la sacca, soprattutto nei pazienti allettati, in cui è necessario passare le urine in un altro contenitore prima di eliminarle. Dopo 6 mesi di trattamento sperimentale, possiamo dire che nei 12 pazienti non si sono verificate infezioni urinarie. I pazienti stono stati sottoposti ad urinocoltura al momento della sostituzione del catetere e della sacca (ogni 30 giorni). Non si sono verificate rotture accidentali o casuali delle sacche, questo dispositivo garantisce anche la totale assenza di cattivi odori. Soltanto in 1 caso in cui ci fu riferita presenza di urine maleodoranti si è sostituita la sacca dopo 10 gg. L’urinocoltura eseguita su quel campione è risultata negativa. A primo impatto, tale sistema risulta sicuramente più costoso:
I risultati evidenziati, chiaramente giustificano la differenza di spesa anche in funzione al miglioramento della qualità di vita del paziente, soprattutto legata alla minor incidenza di infezioni urinarie e quindi minor assunzione di farmaci (antibiotici).
CONCLUSIONI Vorremmo concludere evidenziando quanto si potrebbe lavorare (e ci stiamo rivolgendo a specialisti del settore), per migliorare la qualità di assistenza fornita ai pazienti, per informare adeguatamente personale infermieristico e medico (soprattutto di base) sulla utilità del cateterismo intermittente e sulla necessità di utilizzare il catetere a permanenza soltanto in quei casi non altrimenti risolvibili, anziché considerarlo l’unico trattamento per chi ha problemi di tipo urinario. Non bisogna dimenticare che per lavorare bene, oltre ad una adeguata preparazione di base, è indispensabile essere in numero sufficiente per fornire un’assistenza infermieristica qualitativamente apprezzabile.
BIBLIOGRAFIA
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